Se la ricerca della perfezione è un ostacolo alla partecipazione

Insomma, alla fine, dopo una battaglia estenuante contro mostri sacri come DJ o Filippone Mickelson, a Pebble Beach ha vinto un destro naturale che gioca da mancino, un carneade pure un po’ ciccio che risponde al nome di Tedd Porter.

Ve lo dico: osservavo in tv lo swing di Tedd e mi ritrovavo spesso e volentieri a chiedermi se per caso il tipo non avesse confuso il golf col baseball. Perché questo mi ricordava il tondo Porter: uno smazzatore sgraziato da Yankee Stadium, più che uno swingatore elegante da Pebble Beach.

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Beh, ragazzi: sapete che c’è? C’è che oggi le cose stanno diversamente nel golf moderno.

Scordiamoci la grazia di Sam Snead, la perfezione di Ben Hogan, la pulizia tecnica di Nick Faldo, o  la fluidità di Ernie Els. Voglio dire: facciamola finita e mettiamo una bella X sopra ai polverosi manuali di golf. Perché sui tour mondiali, raga, se non ve ne siete già accorti, stanno vincendo le unicità e non le ripetitività perfette.

Aphibarnat a Perth e Potter a Pebble Beach: olè, due fisici e due tecniche che secondo i testi sacri del golf poco c’azzecherebbero col soprannaturale e perfetto gesto swingatorio degli dei, hanno però trionfato nello stesso giorno su due circuiti diversi.

Dustino Johnson e Jon Rahmbo Rahm prendono a pallate ogni percorso con i loro gesti sgraziati; Chez Reavie si conferma settimana dopo settimana nonostante paia un ballerino di Mambo Number Five più che un bombardiere dal tee; Giordanello Spiethato Spieth la tira col righello anche se impugna il bastone con un grip che fa rivoltare nella tomba i puristi di Saint Andrews, e la lista potrebbe continuare lunga come l’elenco della spesa della famiglia Bedford.

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La verità, raga, è che sono gli esseri umani ad andare in campo, non gli swing; e sono sempre gli essere umani a vincere, non gli swing.

Là fuori si gioca un gioco, non si swinga uno swing: tutti sui tour, anche se ricercano pedissiquamente la ripetitività assoluta e perfetta, hanno a che fare con l’inconsistenza. Ma è in quella inconsistenza, che però sono capaci di restare consistentemente saldi nel cuore e nella testa.

Perché questo è il gioco del golf: avere un battito lento quando tutt’intorno pare andare veloce. Ma non solo: è anche e soprattutto riuscire fare il meglio con quello che si ha, ben sapendo che la ripetitività e la  perfezione restano un traguardo non solo irraggiungibile, ma per certi versi pericoloso se lo si vuole a tutti i costi nel mirino.

Ma c’è un problema: la perfezione/ripetitività swingatoria che la tecnologia moderna promuove come raggiungibile e spaccia per garantita sembra davvero star caratterizzando il golf della nostra epoca. Eppure, nella sua ultima apparizione, Tiger Woods, nella giornata conclusiva del torneo del Farmers, ha centrato solo 3 fairways su 14. Epperò ha marcato uno score di meno 3. E ciò che ci è rimasto in testa – e se non l’ha fatto, beh, è un peccato – non è stato come ha swingato perfettamente lo swing Tigerone, ma come ha GIOCATO a golf: ha giocato con quello che aveva ogni giorno, con uno swing che per sua natura cambiava (a lui come a tutti) di colpo in colpo.

Eppure, nonostante l’evidenza di un golf che sta andando sia verso il rispetto delle differenze, sia verso l’assecondare le unicità, e, nonostante l’evidente debolezza dell’idea di un gioco che, complice la sempre maggior ingerenza della tecnologia, fino a oggi è sembrato invece promuovere l’eccellenza inimitabile più che la versatilità e l’adattabilita’, ebbene, nonostante tutto questo, la cosiddetta “golf community” mondiale spinge per promuovere la perfezione. Ma così facendo, non si rende conto che non solo crea degli illusi,  ma che alla lunga limiterà anche la partecipazione. Ma questa, direi, è tutta un’altra storia.

 

Comments

1 Comment
  1. posted by
    Dogopiu
    Feb 13, 2018 Reply

    Bellissimo articolo, come sempre. Ma mi porta ad una riflessione: cosa intendi quando scrivi la golf community spinge per promuovere la perfezione? Cosa intendi per perfezione?
    Forse intendi “esteticamente gradevole”? Ma non sono d’accordo,, era 20-30 anni fa che si imitavano gli swing belli di Faldo, Norman & co, e i maestri ti cambiavano subito qualsiasi particolare poco ortodosso nello swing. Non oggi, oggi è il tempo del “efficace-funzionale” e gli strumenti vengono (apposta) utilizzati per capire cosa sia esteticamente brutto e cosa invece sia tecnicamente non funzionale. Le unicità di cui lei parla, vincono proprio perché sono ripetitive, altrimenti sarebbero solo dei gesti “brutti” e basta.

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