Trump, un presidente a stelle, strisce e green

Al netto delle dovute e necessarie speculazioni politico-economiche concernenti il nuovo e chiacchierato inquilino del 1600 di Pennsylvania Avenue, l’unica domanda che da swingatori appassionati ci interessa veramente porre da queste pagine è la seguente: Donald Trump sarà un buon presidente per il golf?

Difficile a dirsi. Soprattutto se ci si basa esclusivamente su quella mole impressionante d’informazioni riguardanti il tycoon che circola in rete e sui mass media di tutto il mondo.

Il problema è: quanto di questa abbondanza mediatica sono notizie reali e quanto invece solo rumore?

“Noise”, rumore, è un termine che fu applicato da Fischer Black all’andamento dei mercati finanziari: sono tutte quelle idee non accurate, quei dati erronei, quella massa di perturbazioni giornalistiche che confondono e ingannano il lettore.

Si sa: noi giornalisti per vocazione professionale siamo spinti a raccontare storie, caricando di qualsiasi significato qualsiasi manifestazione di rumore. Un esempio? Recentemente si è detto e letto che Obama avrebbe speso otre 3 milioni di dollari per giocare 18 buche in compagnia di Tiger Woods. Un green fee un po’ caro? Un appearance money un po’ esagerata pagata all’ex numero 1 del mondo? Niente di tutto questo: 3 milioni era il costo totale per le spese di un viaggio di due settimane di Barack con famiglia al seguito. Ma si sa: quando sui giornali (soprattutto in Italia) c’è di mezzo il golf, le cifre si verticalizzano inverosimilmente all’istante.

Ora: il dilemma nel dilemma è che il nostro Donald prospera nel rumore. Anche, soprattutto e nonostante la pubblicità negativa.

Per dire: Leslie Moonves, il Ceo della Cbs ha recentemente avuto a dire che “Trump forse non sarà un bene per l’America, ma ammazza se è un bene per la CBS”.

Resta però ancora da capire se sarà un bene per il golf.

In tutta onestà, in questi giorni se lo devono chiedere all’unisono il Pga Tour, la Pga of America, l’LPGA e la USGA, tutti quei governing bodies statunitensi che nel corso della campagna elettorale presidenziale hanno voltato le spalle al tycoon, al suo parrucchino, alle sue esternazioni razziste e soprattutto ai suoi diciotto campi da golf sparsi in tutto il globo. Eppure l’aria, per lo meno quello che si respira sui green, sta rapidamente cambiando, se è vero come è vero che ben diciannove proette del circuito femminile americano, intervistate dal magazine Sports Illustrated, non si sono dette per nulla offese dallo sbandierato sessismo di facciata del neo presidente. E anzi, hanno rilanciato definendosi ben felici di partecipare al prossimo U.S. Open sul favoloso percorso del Trump Bedminster nel New Jersey. Lo stesso club, per inciso, che nel 2022 ospiterà un altro major, questa volta il Pga Championship maschile. E non pare più disturbato dalle volgarità del Donald neppure Bill Clinton, che pure ne avrebbe ben donde. L’ex presidente, infatti, è socio al Trump Westchester County nei pressi di New York: a oggi né ha presentato le sue dimissioni dal club, né tanto meno ha richiesto di spostare il suo armadietto, che continua infatti a confinare con quello del tycoon biondo pannocchia.

Nel frattempo Trump si è affrettato a dichiarare che, nonostante sia diventato il 45° presidente degli Stati Uniti, non ha alcuna intenzione di creare un blind trust dei suoi asset golfistici: piuttosto li farà gestire direttamente dai suoi figli, Ivanka in testa. E ve lo diciamo subito: per i ragazzi non sarà un lavoro da poco. Nossignore. Non tanto perché sui green del The Donald non cala mai il sole (le proprietà del brand Trump Golf vanno dalla Scozia all’Indonesia, da Los Angeles a Dubai), quanto perché i conti in alcuni dei suoi gioielli non sarebbero per nulla rosa e fiori. Anzi. Per dire: il sensazionale Trump International Golf Links a nord di Aberdeen avrebbe chiuso il quarto bilancio consecutivo in rosso e dei 6.000 posti di lavoro preventivati, ne avrebbe creati per ora solo 95. Le cose non andrebbero meglio neppure nello storico Turnberry, tanto che le somme in Scozia viaggerebbero con un passivo totale di 31 milioni di dollari.

Per risollevare le sorti finanziarie dello storico links, Trump spera di ospitarvi l’Open Championship del 2022, ma Martin Slumbers, CEO della R&A, per ora ha solo rimandato ogni decisione in merito e ogni qual volta viene interrogato sui suoi rapporti tycoon, continua a ripetere di voler “restare focalizzato solo sul golf”. Chissà se l’inaspettato esito elettorale negli States saprà come per magia mettere il boost alle titubanze nella perfida Albione.

Un altro CEO che non deve dormire sonni tranquilli è quello appena eletto sul Pga Tour, Jay Monaham. Il 46enne inizierà le sue fatiche golfistiche il prossimo primo gennaio e sul tavolo sin da subito troverà parecchie grane da gestire: antidoping, strategie globali, contratti televisivi, off season da allungare e, non ultima, la grana del WGC del Doral. E già, perché il torneo da quasi 10 milioni di dollari che fino al marzo 2016 si disputava in Florida sul percorso “trumpiano” del Blue Monster, dalla prossima stagione è stato spostato in Messico, più precisamente al Club de Golf Chapultepec, che in effetti in quanto a fascino e tradizione vale un centesimo del Doral.

Il motivo del trasloco? Secondo l’ex commissioner del circuito Tim Finchem, non si riuscivano a scovare sponsor che desiderassero legare il proprio nome a quello poco politically correct del The Donald.

Facile immaginare che adesso le cose possano prendere velocemente una piega diametralmente opposta: in fondo, come sosteneva Picasso, non c’è nulla di male nell’iniziare con un’idea e finire con un’altra.

Per tornare però al quesito iniziale, quello che chiedeva se “Trump sarà un buon presidente per il golf”, beh, nell’ampio ventaglio delle migliaia di congetture che si possono stilare, una sola pare certa. Ed è che a differenza degli altri presidenti golfisti che l’hanno preceduto alla Casa Bianca, il Donald per lo meno non pagherà il green fee. E se non è un piccolo progresso questo, ditemi voi cos’è.

 

(da Golf & Turismo, dicembre 2016)

 

 

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