C’è scienza dietro ogni pallina da golf

Ho  sempre pensato al golf come a un gioco di inconsistenza: vince chi sbaglia meglio, mi dicevo. A un gioco in balia delle più infinitesimali variabili: il rimbalzo di sbieco, una folata imprevista, un rumore improvviso, una goccia di fango traditrice, un tee time fortunato.

E invece, no. E invece al Titleist Launch Event 2018, qui a Valencia, sotto una pioggia scura e fredda che il Burian italiano levati proprio, ho scoperto che dietro il tappeto della più spietata casualità sotto il quale noi golfisti preferiamo andare a nascondere le nostre incapacità, esiste una scienza esatta.

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Esistono studi, processi, percentuali, ricerche e leggi fisiche. E molto altro ancora, perché, se c’è una verità golfistica universale, è quella che Bob Vokey, l’uomo che sussurra ai wedge Titleist, ama ripetere da anni: “Ogni golfista sulla faccia della terra possiede le capacità fisiche per effettuare un ottimo chip, per colpire un approccio perfetto e un’uscita dal bunker esemplare. Ed è per questo motivo che noi studiamo ogni giorno: per dare a ogni golfista questa possibilità”.

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Sarà per tutto questo e molto altro ancora che dietro a ogni sand iron, o ferro, o pallina della Titleist c’è così tanta conoscenza che pure un tipino fine come Vittorio Sgarbi si zittirebbe all’improvviso. E forse starebbe muto perché ci penserebbero i numeri a parlare: quegli stessi numeri che ci raccontano che ci sono state 206 vittorie targate Titleist sui Tour nel 2017  e già 32 nel 2018. E se ci sono stati tutti questi successi, forse è anche perché oltre settanta scienziati lavorano quotidianamente nei laboratori in Massachusetts solo sullo sviluppo delle palline e ognuna di queste dannate sfere subisce più di 120 controlli prima di essere immessa sul mercato.

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Insomma, pare strano a dirsi, ma, nella ricerca continua della quadra della palla perfetta, a casa Titleist sono abituati a trattare il “core” della pallina manco fosse il motore rombante di una Porsche, i “dimples” come le ali di un Boeing in volo e la “rivestitura” come neppure Armani farebbe per un suo tailleur. Non c’è che dire: i ragazzi studiano.

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Eppure, anche in questo asettico scenario da laboratorio della perfettibilità golfistica esiste un lato assolutamente ironico e sapete qual è? È che lì, nel lontano Massachusetts, impiegano oltre due anni di sondaggi, ricerche, test e studi per costruire quella nuova pallina da golf (per esempio, la recentissima Tour Soft), che noi scervellati dello swing finiremo col disperdere in bosco pochi secondi dopo averla scartata.

Ora: se questo non è amore per il golf, ditemi voi che cos’è….

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